Prologo

Load - Giunse dunque l’inverno

Giunse dunque l’inverno, l’inverno triste ché quando il vecchio giunge è sempre triste. La fine dell’autunno gli fece dono di una serata speciale e quella volta fu davvero l’ultimo giorno autunnale. Con lei che andò via cadde anche l’ultima foglia rossa che, come per dispetto, si posò proprio sul cuore di Manuel. 
Manuel. 24 anni, una chitarra appesa al collo, una carriera universitaria appena iniziata, un vinile Made In Seattle, una sigaretta accesa e fumata dal vento, un whiskey e una poesia. Ne aveva scritto per il momento solamente una. Bellissima. Le parole che non scrivo sono quelle che mi mancano di più. Naturalmente era dedicata a lei, la dolce e fragile Annalisa.
I suoi genitori: ragazzi cresciutelli che avevano fatto il 68, gente di tutt’altra generazione. Vecchi giovani che, si dice, hanno fallito in più punti. Ma se accanto a Manuel c’erano due persone di enorme cultura che avrebbero compreso ogni suo sbaglio, che avrebbero accettato ogni sua mossa, che avrebbero appoggiato ogni suo passo e che avrebbero saputo ascoltare le sue parole, decifrarle e poi comprenderle, forse il merito era un pochino anche di quel 1968. E se Manuel si era avvicinato alla musica, era proprio grazie ai cantautori che ascoltavano in casa. De André, Guccini, Lolli, Gaber. In fondo, pensandoci bene, i genitori di Manuel erano tra i migliori che il 68 avesse potuto sfornare. E ne era uscito un figlio né di sinistra, né di destra, che sapeva qualcosa di Marx e qualcosa di Nietzsche, qualcosa di Hitler e qualcosa di Stalin, qualcosa di Togliatti, Gramsci, De Gasperi, Berlinguer e che del Papa non conosceva neanche il nome e la nazionalità. Sapeva molto di più di John Lennon, Jim Morrison, Jimi Hendrix e Kurt Cobain. Era al corrente di qualche accordo in maggiore, aveva capito bene la musica, era stonato come il ketchup con la Nutella e si era costruito, proprio per quest’ultimo motivo, una filosofia tutta sua: le canzoni devono essere cantate non solo da chi ha la voce per farlo ma anche da chi ha il cuore per esprimerle. E poi - continuava - anche Paolo Conte era stonato. Aveva musicato la sua poesia e la imponeva quotidianamente alla gigantografia dei Nirvana appesa proprio alle sue spalle. Annalisa, poeticamente, cambiava il nome in Marlene e Manuel avrebbe voluto dedicarle i versi più belli anche se infine, dopo vari e vani sforzi, cantava o meglio sussurrava: le più belle parole d’amore sono quelle che non m’escono. Annalisa. Marlene. Annalisa.
E a lei pensava, in questa triste serata d’inverno.

 

giordano criscuolo

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